giovedì 26 aprile 2012

Maternity blues: chi muove la mano di una mamma assassina?


Non sono un patito del cinema, al grande schermo da sempre preferisco il palcoscenico, il teatro. Questo non significa che non ci siano film che amo molto o che vedo volentieri. E soprattutto non vuol dire che al cinema, poi, io non ci vada: ci sono stato anzi proprio martedì sera, per l'anteprima bolognese di Maternity Blues, il film di Fabrizio Cattani tratto dal testo teatrale From Medea di Grazia Verasani e presentato all'ultima Mostra del Cinema di Venezia.

Nel film, come nel libro, si parla di infanticidio, di madri assassine. Grazia Verasani, durante il dibattito che ha fatto seguito alla proiezione, ha raccontato di aver scritto quel testo nel 2002, cioè nei mesi in cui sui media si parlava del caso Cogne. Era indignata, ha spiegato, per la rapidità con cui si pronunciava una sentenza di colpevolezza tutta a carico di una madre, come se quel gesto estremo fosse solo il suo. E se il colpo letale ha senza dubbio una mano che lo sferra, la furia che genera questi delitti è una bestia feroce con molti domatori.

Perchè una madre arriva a uccidere il proprio figlio? è necessario porsela questa domanda e il film riesce molto bene a richiamarci a questa responsabilità. Si tratta di una pellicola molto dura, inevitabilmente: è ambientata in gran parte tra le pareti di un Istituto psichiatrico giudiziario, dove quelle donne cercano di recuperare il buono che è in loro. E racconta delitti crudeli, impietosi, che uccidono nell'anima anche chi li compie. Perciò è un film molto coraggioso, che sfida le leggi di mercato e quelle della compiacenza, in un periodo in cui la corsa, per tutti, è a far "cassetta": mi auguro il pubblico, per questo, lo premi con una consistente presenza e un fitto passaparola.

From Medea, il testo da cui il film è tratto,  è stato rappresentato a teatro in più di un allestimento. Il teatro è un luogo anarchico, in cui è possibile immaginare un mondo collassato in una stanza e sollevato dalla presenza degli uomini: così vivono, sotto lo sguardo del pubblico, le quattro madri detenute di From Medea. Nel film, al contrario, gli uomini esistono, come esiste anche il "fuori", una famiglia di origine, un marito che perdona. Si esce dall'anarchia del teatro, insomma,  e si entra nell'ordinario, nel riconoscibile, nel "sociale": per far breccia nel pubblico generalista è necessario far così. Ma non nascondo che questo "attorno" molto spesso mi ha perplesso perchè mi è sembrato che smussasse, a volte perfino fraintendesse, la forza e la radicalità del testo originario. Mettendo nelle mani di un uomo forse un po' di colpa ma soprattutto il potere di perdonare.

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